GRAZIE MARIA PIA | L’ETÀ D’ORO

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14 dicembre 2016

Ho visto per l’ultima volta Maria Pia in occasione del Festival di Bari, aprile 2016.

Ha fatto da sapiente presentatrice alla conferenza stampa del nostro film l’Età d’oro, con Laura Morante.

Aveva seguito il mio lavoro fin dal lontanto Le Rose Blu, riuscendo a trovare spazi miracolosi per un cinema indipendente, fatto di piccole grandi cose.

Per l’Età d’Oro mi ha detto una cosa illuminata, di cui ho fatto tesoro e che ha determinato i miei ultimi mesi di impegno.

Aveva notato con sorpresa e piacere alcuni sottotesti ironici nel film, che l’avevano molto divertita, e mi aveva chiesto come mai non avessi insistitito di più nel montaggio su quel registro.

Ecco che dopo quel colloquio ho rimesso mano al film, ed ora uscirà in un’edizione revista e corretta anche alla luce di quelle consideraioni amiche, dette con intelligenza e amicizia.

Non vedevo l’ora di mostrarglielo.

Non sono abituata a frequentare l’altra parte della barricata, ma ho sempre fatto tesoro, a volte amaro, dei suoi strali.

Così la Fusco, con affetto e leggerezza, fece capolino nella mia vita professionale quelle cinque o sei volte determinanti.

Così penso debba essere un critico, un giornalista, un militante di passioni assolute com’è la nostra: leggero, acuto, generoso, perspicace e coraggioso.

Grazie Maria Pia.

Emanuela

CARA ADELE CAMBRIA

il manifestoUn ricordo. Compagna di strada, testimone di un’epoca 

cambria-1-2Adele Cambria in “Accattone”

EDIZIONE DEL14.11.2015 PUBBLICATO14.11.2015, 1:54 http://ilmanifesto.info/cara-adele-cambria/

Mentre il Corriere della Sera gonfia in modo forse un po’ esagerato la polemica di Muccino su Pasolini (una voce fuori del coro? sarebbe piaciuta proprio a lui?) muore una grande madre di quella stagione di attraversamenti a volte selvaggi, tra professionalità e avventurismo: Adele Cambria.

Adele me la presentò mio padre, una sera che in televisione davano Accattone. Era lei la madre con in braccio i bambini, grandi occhi che bucavano lo schermo bianco e nero dai larghi spazzi.
Poi la mia insegnante di italiano: in Amore come rivoluzione, libro consunto, portato sul comodino per anni, sottolineato e annotato, in cui Adele racconta l’epistolario Gramsci Anna Kuliscioff. Poi finalmente lei: aveva bussato un giorno del 1990 alla porta della mia casa romana in Trastevere. Non mi pareva vero, forse avevo avuto un flash. Ma era la mia vicina di casa, proprietaria di un appartamento al primo piano che poi sarebbe diventato la sede romana della Kitchen. Non c’era corteo o manifestazione dove non si trovasse ad un certo punto questa donnina appuntita che sembrava guardare e osservare con un terzo occhio per l’intensità con cui quelli in dotazione scorrevano le pagine del bloc notes ad appuntare sensazioni, emozioni, ma anche punture e dardi, che in Adele non mancavano mai, a partire da se stessa. Morirò presto, mi ha detto l’ultima volta che l’ho vista a casa sua in via dei Pettinari, e la frase era detta già con nostalgia dei nostri ormai sempre più radi incontri, senza ombra di dolore. E subito dopo, tipo Fenice, Daria Bignardi l’aveva voluta per dei piccoli elzeviri tipo Selfie alle Invasioni Barbariche. Perché Adele era un po’ la Fenice: come quando facemmo insieme il programma Parole Incrociate (l’ultima intervista a Sofri prima del carcere e altre chicche) e sembrava non dover mai andare in onda, e poi fu un successo. Era molto ricercata da lacché e opportunisti di cui si lamentava in modo spesso sfrontatamente esplicito, per la sua appartenenza al sacro graal del premio Strega. E se approfittava delle loro offerte poi non le restituiva. Perché Adele era anche questo: una militante e battagliera sacerdotessa, anzi «sacerdota» del tempio della politica intesa innanzitutto come partecipazione. Veniva dal Giorno e da Lotta continua, aveva fondato e diretto giornali e inorridiva recentemente per dover tenere un blog (voluto in realtà dagli editori), ma scriveva libri instancabilmente. (l’ultimo In viaggio con la zia ricorda il De Olivera di un film Parlato). Muccino ha forse ragione, Pasolini non era un regista e Adele neppure.  E meno male ! Forse è proprio di questo che abbiamo bisogno. Meno registi e scrittori, e più compagni. Il  video che avevo «girato» su di lei e tanto le era piaciuto si intitolava «cara Adele ti voglio bene», raccontava di una festa tra amici e non di una corsa a diplomi. cara Adele, arrivederci.
*regista e produttrice (Kitchen Film)