PROCESSO A CATERINA ROSS | PROIEZIONE CINEMA ARSENAL DI BERLINO | “ITALIEN 1968”

13 maggio 2018

PROCESSO A CATERINA ROSS  a  “ITALIEN 1968″ IL CINEMA ITALIANO SPERIMENTALE DEGLI ANNI SESSANTA E SETTANTA, la rassegna  organizzata da Arsenal – Institut für Film und Videokunst e.V.  grazie alla ricercatrice di cinema Cecilia Valenti e il collega Fabian Titeke che hanno scelto il film di Gabriella Rosaleva e alla Cineteca Nazionale del Centro Sperimentale di Cinematografia che ha fornito i materiali.

PROCESSO A CATERINA ROSS (1982)  

Il primo film prodotto da Emanuela Piovano (Kitchenfilm) .

Il  film che ha inaugurato la prima Edizione del Festival Giovani di Torino.

LA PROIEZIONE DEL FILM IL 13 MAGGIO ORE 21:00 AL CINEMA  DI BERLINO!

Il testo del film riproduce esattamente i verbali del processo svoltosi nel 1697 a Poschiavo-Brusio (Confederazione Svizzera) contro Caterina Ross, contadina di 32 anni, di religione riformata, figlia e nipote di “strie” a sua volta accusata stregoneria.

Il processo è girato nel chiuso di un capannone industriale totalmente abbandonato adiacente a una stazione ferroviaria. La parte riguardante i testimoni d’accusa è girata in esterni in alta montagna.

“Faccio cinema perchè amo la pittura, il segno del colore, l’equilibrio delle forme sono fondamentali nella mia vita.(Gabriella Rosaleva)

Caterina Ross  Daniela Morelli 

Il podestà  Massimo Sacilotto

Soggetto e sceneggiatura  Gabriella Rosaleva

Aiuto regista  Giovanni Barbieri 

Direttore della Fotografia  Renato Tafuri

Fonici  Hubert Niyhius e Pippo Ghezzi

Montaggio  Anna Napoli

Segretaria di edizione  Lella Lugli

Produzione  Emanuela Piovano

CATERINA ROSS E LA STORIA   

Archivio Comunale di Poschiavo -Fasc. n.497 R: Processo a carico – febbraio 1697

A condurre l’interrogatorio non è qui l’inquisizione ma l’Honorando Magistrato, ovvero il podestà, del comune di Poschiavo – Brusio (Confederazionw Svizzera) affiancato da 12 consiglieri.

Siamo alle soglie del ‘700: la stregoneria è diventata reato. La giustizia questa volta non ha aspettato un’accusa esplicita da parte di qualche compaesano di Caterina, sono bastate delle “voci in giro” perchè la macchina dell’ordine si muovesse.

La controriforma si allontana pian piano e con essa il timor di Dio. Le testimonianze che la giustizia raccoglie tra la gente hanno perso il phatos dell’esorcismo: i contadini sono molto più timorosi di un giudice che non di una qualche “ stria in forma di uccello” . 

Troviamo così in luce la maggioranza silenziosa , di fronte ad un inizio di Stato che non ha bisogno di prove ma di conferme a quello che che ancor prima di essere un reato è un nucleo di disordine. 

La stessa Caterina, attraverso le sue contraddizioni, il suo negare di essere “stria” pur affermando di esserlo stata, ma in gioventù, e solo per plagio di sua “ ava” (la stregoneria veniva tramandata per gradi parentela, ed accadeva spesso che si uccidessero sin da piccole le nipoti delle donne implicate. Caterina tra l’altro aveva già subìto un processo all’età di 7 anni) esprime questo trascolare della stregoneria in mera superstizione, se non addirittura in pratica burocratica.  Inoltre, ciò su cui la gustizia insiste in questo momento non è tanto l’accertamento dei famosi “bolli”, che si supponeva il demonio imprimesse sul corpo delle sue adepte, bensì quali fossero le compagne di Caterina e dove trovassero i loro luoghi di aggregazione (i Berlott, Sabba profani in cui la rigida ritualità lascia il posto ad un più spensierato “ballar”).

Caterina, la quale come abbiamo visto, non sapeva prendere una decisione univoca al suo essere  o non essere strega tace con risolutezza, anche sotto tortura, i nomi delle sue compagne.

Leggendo gli atti di questo processo siamo dunque lontani dalla consueta mitografia aulica e curiale della stregoneria che si rifà ad episodi cronologicamente anteriori.

Se si fa eccezione per i bambini, nel cui immaginario si suppone permangono elementi di stupore e di paura – ma forse anche di ammirazione – quando parlano di Caterina, in tutti i testimoni, così come nel Giudice e nella stessa condannata, prevale la fretta, l’indifferenza per la materia di cui si tratta, la senzazione di obbedire tutti ad un destino (burocratico?, sociale?, comunque non divino) di fronte al quale non ha più valore la fede e non ancora la ragione.

Emanuela Piovano