LE ROSE BLU | SAFF 2022 | CINEMA ANTEO PALAZZO DEL CINEMA | MILANO

Per la 29esima edizione di Sguardi Altrove International Women’s Film Festival la direttrice artistica Patrizia Rappazzo ha scelto per la per la sezione Cinema (in)visibile il film  Le Rose Blu “ di Emanuela Piovano, Anna Gasco, Tiziana Pellerano, con gli attori protagonisti preferiti da Pasolini: Laura Betti nel ruolo dell’amica dei poeti, Ninetto Davoli nel ruolo della guardia carceraria e le vere detenute del carcere femminile delle Vallette di Torino.

Attualmente la copia è in deposito alla Cineteca Nazionale di Roma per il restauro. In occasione dell’evento del 15 maggio al cinema ANTEO palazzo del Cinema di Milano, il film è stato proiettato in 35 mm.

Trama :

Un gruppo di detenute rivive le loro vicissitudini e la tragedia dell’incendio avvenuto a giugno 1989 nel carcere femminile di Le Vallette a Torino, dove persero la vita. La rosa blu è un simbolo di vita e libertà ed è un omaggio al mondo libero.

Presente la regista Emanuela Piovano insieme a Patrizia Rappazzo.

Inoltre nel progetto del Festival il Focus sul tema della complessità e la fatica dei procesi di femminilizzazione dell’industria nello schermo che si è tenuto al margine del Festival all’Università Cattolica il lunedì 16 maggio, Emanuela Piovano è intervenuta online.

“Le rose blu (Emanuela Piovano, Anna Gasco, Tiziana Pellerano, 1991) è un progetto collaborativo sulla prigione femminile torinese de Le Vallette. Girato con budget ridotto, il film adotta un registro antirealistico, sfidando nuovamente il luogo comune che la sofferenza esiga un linguaggio solo testimoniale. Troviamo il film incluso nel 1991 in una rassegna dedicata a opere di registe e registi esordienti che, recita un articolo dell’epoca, “faticano a trovare una distribuzione commerciale”.La rassegna porta il titolo: “Cinema invisibile”, una coincidenza che non potevamo ignorare e che tende un filo ideale da quel “Cinema invisibile”, a questo e al lavoro delle molte registe (e dei molti registi) che la macchina produttiva e culturale ancora oggi oblitera. Il percorso si conclude con due film di Lina Wertmüller del 1996, Metalmeccanico e parrucchiera in un turbine di sesso e politica e il quasi dimenticato Ninfa plebea. Un accostamento che rende evidente come le conquiste per le donne alla regia siano fragili e messe in discussione sempre, anche quando dietro la macchina da presa c’è un’artista riconosciuta a livello internazionale e all’acme della carriera. “ 

SAFF 2022 CATALOGO di  Rosa Barotsi, Mariagrazia Fanchi del 10-15 maggio 2022

‘Le rose blu’ è una voce del carcere espressa attraverso la metafora della poesia: in uno stile sperimentale a volte irrisolto, con modi sconcertanti ma sempre appassionati. Il titolo si riferisce ai versi della detenuta Livia, la più grintosa e compenetrata prima di rimanere uccisa nel fatale incidente, cui Laura Betti in un’apparizione di pasoliniana memoria forse un po’ pleonastica, porta in omaggio l’azzurro fiore che non esiste in natura.” (Alessandra Levantesi, “La Stampa”, 1 Giugno 1990)”Girato in 16 mm, gonfiati a 35 per il grande schermo, ‘Le rose blu’ risente della tipica trascuratezza del prodotto a basso costo: ma è una sorta di bandiera quello scrutare nell’assenza della bellezza, nel grigiore delle magliette di cotone tirate su seni troppo ampi, una professione di fedeltà al vero delle vite grame. Eppure il miracolo si compie e nell’insieme porta il sigillo della caparbietà appassionata di chi questo film l’ha fatto e voluto: è un’opera di straordinario candore.” (‘Vivilcinema’)”  COMINGSOON

CARA ADELE CAMBRIA

il manifestoUn ricordo. Compagna di strada, testimone di un’epoca 
cambria-1-2Adele Cambria in “Accattone” EDIZIONE DEL14.11.2015 PUBBLICATO14.11.2015, 1:54 http://ilmanifesto.info/cara-adele-cambria/ Mentre il Corriere della Sera gonfia in modo forse un po’ esagerato la polemica di Muccino su Pasolini (una voce fuori del coro? sarebbe piaciuta proprio a lui?) muore una grande madre di quella stagione di attraversamenti a volte selvaggi, tra professionalità e avventurismo: Adele Cambria.
Adele me la presentò mio padre, una sera che in televisione davano Accattone. Era lei la madre con in braccio i bambini, grandi occhi che bucavano lo schermo bianco e nero dai larghi spazzi. Poi la mia insegnante di italiano: in Amore come rivoluzione, libro consunto, portato sul comodino per anni, sottolineato e annotato, in cui Adele racconta l’epistolario Gramsci Anna Kuliscioff. Poi finalmente lei: aveva bussato un giorno del 1990 alla porta della mia casa romana in Trastevere. Non mi pareva vero, forse avevo avuto un flash. Ma era la mia vicina di casa, proprietaria di un appartamento al primo piano che poi sarebbe diventato la sede romana della Kitchen. Non c’era corteo o manifestazione dove non si trovasse ad un certo punto questa donnina appuntita che sembrava guardare e osservare con un terzo occhio per l’intensità con cui quelli in dotazione scorrevano le pagine del bloc notes ad appuntare sensazioni, emozioni, ma anche punture e dardi, che in Adele non mancavano mai, a partire da se stessa. Morirò presto, mi ha detto l’ultima volta che l’ho vista a casa sua in via dei Pettinari, e la frase era detta già con nostalgia dei nostri ormai sempre più radi incontri, senza ombra di dolore. E subito dopo, tipo Fenice, Daria Bignardi l’aveva voluta per dei piccoli elzeviri tipo Selfie alle Invasioni Barbariche. Perché Adele era un po’ la Fenice: come quando facemmo insieme il programma Parole Incrociate (l’ultima intervista a Sofri prima del carcere e altre chicche) e sembrava non dover mai andare in onda, e poi fu un successo. Era molto ricercata da lacché e opportunisti di cui si lamentava in modo spesso sfrontatamente esplicito, per la sua appartenenza al sacro graal del premio Strega. E se approfittava delle loro offerte poi non le restituiva. Perché Adele era anche questo: una militante e battagliera sacerdotessa, anzi «sacerdota» del tempio della politica intesa innanzitutto come partecipazione. Veniva dal Giorno e da Lotta continua, aveva fondato e diretto giornali e inorridiva recentemente per dover tenere un blog (voluto in realtà dagli editori), ma scriveva libri instancabilmente. (l’ultimo In viaggio con la zia ricorda il De Olivera di un film Parlato). Muccino ha forse ragione, Pasolini non era un regista e Adele neppure.  E meno male ! Forse è proprio di questo che abbiamo bisogno. Meno registi e scrittori, e più compagni. Il  video che avevo «girato» su di lei e tanto le era piaciuto si intitolava «cara Adele ti voglio bene», raccontava di una festa tra amici e non di una corsa a diplomi. cara Adele, arrivederci. *regista e produttrice (Kitchen Film)